Sono definiti “giovani anziani”, gli over 65 che oggi, stravolgono il tradizionale profilo degli anziani, così come li abbiamo sempre visti.
Non più persone che dopo aver lavorato, si godono solo il riposo, ma giovani anziani, impegnati nell’associazionismo, nel volontariato e nel tempo libero.
La ricerca “Non mi ritiro”, curata da un team di sociologi, demografi e psicologi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che da tempo studia il fenomeno dell’active aging (invecchiamento attivo), definisce così gli over 65.
Tassello fondamentale per le famiglie, in cui le giovani coppie, sempre più spesso affidano i figli ai nonni, per rimanere tutto il giorno al lavoro; memoria storica per tramandare pillole di saggezza ed antiche tradizioni alle giovani generazioni; emanatori di affetto incondizionato verso i nipoti.
Non più anziani, ma giovani anziani, quelli tra i 65 e i 74 anni. La maggior parte di loro è in pensione, alcuni lavorano ancora, altri fanno le due cose insieme o sono impegnati tra associazionismo e volontariato. Anziani attivi, che non si sentono “vecchi” e che da un lato curano i propri genitori e dall’altro sostengono i figli, che spesso vivono con loro.
In base al sondaggio effettuato, su un campione di 900 soggetti residenti nelle 20 regioni italiane,nell’83,8% dei casi i giovani anziani sono in pensione, anche se tra loro è presente una quota di lavoratori-pensionati.
Mantenersi attivi, si sa, favorisce un buon invecchiamento. Ben il 38% degli uomini ed il 43% delle donne, tra gli intervistati, infatti, dichiara di non sentirsi per nulla vecchio, anzi. C’è una attitudine di questa generazione a dare. Ai figli, alle nuove generazioni. A trasmettere conoscenza e a ricevere informazioni. L’Italia oggi ha il 27% di ultrasessantenni sul totale della popolazione. Dal 1974 a oggi, per ogni anno vissuto la vita degli italiani si è allungata di tre mesi, toccando un’aspettativa di vita di 80,2 anni per gli uomini e di 84,9 anni per le donne.
«La soglia in cui si entra nell’età anziana e si esce da quella adulta è slittata in avanti», spiega Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica. I giovani anziani italiani non sono soggetti isolati. Il 33% di coloro che hanno risposto alla ricerca risulta attivo, il 53% appartiene al gruppo che “dà e riceve”. Il ritratto che ne esce, è quindi quello di una fase della vita in cui sono ancora molto ricche le relazioni sociali e gli interscambi, ovvero una fase in cui già oggi la maggioranza delle persone è più una risorsa sociale che un peso.
L’età in cui si è anziani dipendenti da qualcun altro slitta dopo i 75 anni. Prima, c’è un interregno in cui sono diffuse attività di ogni tipo, legate alla famiglia e non. Con il volontariato in testa: secondo l’Istat, gli ultra 64enni volontari sono 703mila.
«I giovani anziani fanno volontariato in associazioni di tipo intergenerazionale», spiega la sociologa Lucia Boccacin, nel team della ricerca. «Quello che è emerso è che non fanno solo volontariato, ma fanno anche volontariato, insieme a una serie di altre attività». Compreso usare la tecnologia. Molto dipende dal bagaglio culturale e dalle condizioni economiche.
Alcuni dei giovani anziani sono stati pionieri nell’uso del computer sul luogo di lavoro, ma solo il 16,7% dichiara di avere e usare un computer. «Le percentuali salgono nella fascia d’età tra i 65 e i 69 anni, dove chi possiede e usa un computer è il 20%», spiega il sociologo Piermarco Aroldi.
«Questo significa che c’è una generazione che si sta digitalizzando anche se non è nativa digitale». Per quanto riguarda invece la frequenza nell’uso di Internet, il 71% degli anziani che dichiarano di connettersi ad internet va in rete quasi tutti i giorni. «Chi comincia ad accedere a Internet lo fa in modo rilevante», dice Aroldi.
Chi usa la Rete lo fa per tenersi aggiornato, ma sono ancora molti ad essere spaventato da possibili violazioni della privacy. Forse per questo gli iscritti ai social network sono pochi: tra gli uomini il 9,7% ha un profilo Facebook, tra le donne la percentuale scende al 5,5%; numeri ancora più bassi per Twitter, che si attesta all’1,3% per le donne contro il 3,7% per gli uomini.
Numeri che possono cambiare, sicuramente in meglio, così come sta avvenendo per la percentuale di over 65, che cominciano a navigare, in maniera sempre più abituale.